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Il protocollo di Kyoto
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I gorilla in soccorso della Terra

12/06/2003 287 views 0 likes
ESA / Space in Member States / Italy

Anche quest’anno l’estate è appena alle porte e già si boccheggia dal caldo. E gli ambientalisti puntano l'indice contro il cambiamento del clima legato alle emissioni inquinanti dell'uomo.

Il protocollo di Kyoto faceva il punto sulle emissioni di gas inquinanti su scala globale e l'incontro di Marrakesh, nel novembre 2001, doveva servire a entrare nel merito degli atti da compiere per ridurre la quantità di emissioni inquinanti.

In realtà, affinché il protocollo di Kyoto entri in una fase matura e realmente operativa deve essere ratificato da paesi che nel loro insieme raggiungono una percentuale di emissioni di biossido di carbonio pari almeno al 55% delle emissioni totali, quelle ormai tristemente famose 7 miliardi di tonnellate all'anno. E in questo momento, secondo i dati che ho, che aggiornati al 6 giugno, siamo fermi al 43,9%. Chi manca all'appello? È noto che né USA né Russia hanno ratificato il protocollo. E scorrendo la lista dei paesi inquinanti, si scopre che la Russia è responsabile del 17% delle emissioni, mentre gli USA di circa il 37,1%. È un dato che dovrebbe sconcertare, perché la popolazione degli Stati Uniti, per esempio, è appena il 5% della popolazione mondiale. Una volta superata questa fase di stallo, quando il protocollo sarà entrato nella sua fase applicativa, si dovrà procedere ai controllo del rispetto delle nuove norme. E questo lo si può fare anche grazie alla tecnologia satellitare.

È grazie ai satelliti - e in questo l'ESA occupa un ruolo di primissimo piano - che si possono controllare zone molto ampie. Soprattutto i satelliti ci permettono di misurare la quantità di emissioni inquinanti. E dunque di mettere con le spalle al muro, in un certo senso, i paesi che non rispettano i patti.

Meteosat - L'Europa colorata artificialmente
Meteosat - L'Europa colorata artificialmente

Parte del biossido di carbonio emesso viene poi riassorbito, per esempio dalle piante. E in questo quadro la conservazione delle foreste è vitale. Come stanno le nostre foreste?

Nel decennio '80-'90, ben l'8% delle foreste tropicali è stata distrutta. E recentemente si è registrata una nuova accelerazione della deforestazione.

Per controllare questo disastro causato dall'uomo, recentemente stato siglato un accordo tra ESA e rappresentanti del governo francese per il controllo della deforestazione nella Guiana Francese attraverso il satellite ambientale dell'ESA Envisat. Envisat utilizza un radar a microonde che permette di distinguere il terreno coperto da foreste da terreno disboscato. E poiché Envisat passa sullo stesso luogo della terra circa ogni 30 giorni, ecco che diventa possibile confrontare mappe della zona a pochi giorni di distanza, per un controllo che può essere molto intenso. Ma insieme alle foreste, il principale distruttore di biossido di carbonio è il fitoplancton, termine con il quale si indica l'insieme di quei minuscoli organismi vegetali che vivono sulla superficie oceanica. Si stima che fitoplancton e foreste insieme assorbano circa il 50% dell'emissione di anidride carbonica.

Envisat è utile anche per il controllo del fitoplancton: è lo strumento MERIS ad avere il compito di identificare il colore della superficie dei mari. Colore che dipende dalla quantità di clorofilla presente, e dunque dalla quantità di fitoplancton. Del resto il ciclo del carbonio, cioè la sua immissione nell'atmosfera e il suo assorbimento, presenta ancora molti punti che devono essere chiariti. Il satellite Envisat raccoglierà dati proprio per le ricerche scientifiche: del resto non è una sentinella del cielo. Lo spirito rimane quello che contraddistingue ogni missione che ha lo scopo di aumentare le conoscenze dell'uomo: sta all'uomo utilizzare queste conoscenza per migliorare la vita sulla Terra.

Di questo e delle altre attività dell’ESA si parlerà nel corso della mostra evento di Le Bourget, a Parigi, dal 15 al 22 di giugno. E si parlerà di come le applicazioni spaziali sono diventate utili non solo per gli uomini ma anche per i gorilla. In che modo?

L’UNESCO ha riconosciuto che i gorilla di montagna che abitano nel parco nazione del Virunga, in Congo, e nel parco nazionale Bwindi in Uganda, fanno parte del patrimonio mondiale e devono essere aiutati. I conflitti nella regione spingono un numero sempre maggiore di profughi a cercare rifugio all'interno dell'habitat naturale dei gorilla, che viene così messo in serio pericolo. Le foreste vengono abbattute per la raccolta della legna o adibite a coltivazione. E il numero di gorilla che le popolano è sceso a livelli molto bassi. Sono stati censiti solo 650 esemplari.

L’area da controllare, tuttavia, è enorme: 800 mila ettari di cui spesso non esiste cartografia. L'umidità, poi, causa una copertura nuvolosa molto frequente, e questo rende difficoltose le osservazioni con panoramiche aeree, per esempio. Dunque è un territorio molto facilmente esposto a interventi non legali: fragile rispetto alle capacità di distruzione dell'uomo. È una zona, però, che può essere osservata via satellite, ed è qui che è intervenuta l’ESA siglando un progetto pilota con l’UNESCO. ERS2 ed Envisat osservano le foreste e identificano le aree in cui è avvenuta una deforestazione che non avrebbe dovuto aver luogo, utilizzando la tecnica radar a cui accennavo in precedenza. Se il progetto pilota avrà successo, come speriamo, allora sarà esteso a molti altri siti che l’UNESCO ha dichiarato patrimonio dell’umanità. Se tutto va bene, insomma, sarà il caso di dire che sono stati i gorilla a dare una mano a noi, piuttosto che noi ai gorilla. In attesa che siano le guerre a cessare. Guerre tra uomini, non tra gorilla.

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