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La giornata mondiale dell'acqua

25/03/2004 569 views 0 likes
ESA / Space in Member States / Italy

Quasi a cadenza settimanale, la NASA annuncia di aver ottenuto l’ennesima prova a favore di un passato marziano ricco di acqua. Di che si tratta stavolta?

Il rover Opportunity ha analizzato alcune rocce che diversi indizi fanno pensare si siano formate lungo la linea di costa di quel che in un lontanissimo passato potrebbe essere stato un lago d’acqua salata.

La presenza di acqua, questa volta, è suggerita da due considerazioni diverse, una di tipo morfologico, l’altra di natura chimica.

Sotto il profilo morfologico, diverse rocce stratificate fotografata dal rover mostrano strati che non sono paralleli gli uni agli altri, ma convergenti fra loro oppure tronchi. Secondo gi scienziati della NASA, questo sarebbe una prova del fatto che i sedimenti da cui si è formata la roccia sono stati modellati da una quantità di acqua profonda almeno 5 centimetri, che scorreva a una velocità di 10-50 cm al secondo. Sulla Terra rocce simili si trovano per esempio sulle sponde degli oceani.

Le rocce mostrano anche tracce di cloro e di bromo: e questo suggerisce che le rocce siano state bagnate da acqua molto salina, la cui alta concentrazione era forse dovuta a una fase di evaporazione del lago marziano.

Sono indizi interessanti, ma il quadro generale non cambia poi molto: ormai siamo convinti da anni che Marte, in gioventù, sia stato ricco di acqua. Il problema è capire quale sia stata la sua storia futura: come ha perso l’acqua, se oggi ce n’è ancora. E anche l’ultima scoperta della NASA non dà indicazioni né sull’epoca a cui risale l’acqua che avrebbe modellato le rocce né per quanto tempo l’avrebbe fatto.

La calotta polare meridionale vista dalla fotocamera HRSC dove lo strumento OMEGA a trovato ghiaccio
La calotta polare meridionale vista dalla fotocamera HRSC dove lo strumento OMEGA a trovato ghiaccio

Ma l’acqua è così rara nell’universo?

Al contrario, l’acqua è relativamente abbondante nell’universo. I suoi ingredienti sono soltanto idrogeno e ossigeno: il primo è l’elemento più comune nell’universo, mentre l’ossigeno è stato generato fin dalle prime generazioni stellari: l’ossigeno, come del resto il carbonio e tutti gli altri elementi fino al ferro, è un prodotto delle reazioni nucleari all’interno delle stelle. E in modo specifico, da oltre quaranta anni sappiamo bene che le stelle che producono ossigeno sono le stelle che hanno una vita più breve: si tratta delle cosiddetto supernovae, stelle molto più massive del Sole, che terminano la loro vita con una gigantesca esplosione, immettendo nello spazio le ceneri delle loro reazioni termonucleari. E l’ossigeno è tra i prodotti più abbondanti generati dalle supernovae.

Dunque, almeno in teoria, l’universo ebbe a disposizione piuttosto presto, nel corso della sua vita, gli ingredienti di base per fare l’acqua.

L’importanza dell’acqua su un pianeta vicino alla Terra, però, è legata al fatto che si tratta di una sostanza che, nel caso della vita terrestre, svolge un ruolo cruciale. Dunque la speranza è che anche su Marte abbia favorito la nascita della vita.

Mauritania, Envisat
Mauritania, Envisat

Il 22 marzo l’ESA ha partecipato alla Giornata Mondiale dell’acqua, istituita dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite nel 1993. Perché un’agenzia spaziale come l’ESA è coinvolta in prima linee in un’iniziativa di questo genere?

L’ESA ha dato il via al progetto TIGER, che coinvolge molti paesi africani e che si propone di utilizzare le osservazioni satellitari per migliorare sia la comprensione scientifica del ciclo dell’acqua, fondamentale nell’equilibrio climatico della Terra sia a livello globale che regionale, ma anche la gestione delle risorse idriche in Africa.

In linea di principio non ci sono grandi problemi: un satellite come Envisat, il satellite ambientale dell’ESA, dedicato unicamente alle osservazioni della Terra, si muove lungo un’orbita bassa, a circa 800 km di quota, sorvolando i poli.

Questo tipo di orbita, gli permette di osservare l’intero globo terrestre: è chiaro dunque che l’ESA sta cercando di estendere sempre di più l’utilizzo dei dati satellitari, specialmente in quei paesi in via di sviluppo che non hanno un accesso autonomo allo spazio.

E lavorare con i paesi africani è di grande interesse sia sotto il profilo scientifico, perché l’Africa ha un numero assai elevato di microclimi locali, sia perché l’ESA ha la possibilità di dare un enorme contributo pratico nelle gestione delle risorse idriche. Ed è un ottimo esempio di cooperazione internazione per il bene di tutti.

Come sta andando il progetto TIGER?

Siamo nelle fasi iniziali: si sono tenute due congressi nel corso del 2003, che sono serviti a mettere a punto le questioni più generali. Ora si procederà per incontri regionali, come quello che si è tenuto alla fine di febbraio in Sud Africa, che ha coinvolto specialisti provenienti dalla Namibia, dalla Botwana, dal Mozambico, dallo Zimbabwe, in rappresentanza sia di enti pubblici che di enti privati.

Nel prossimo futuro partiranno alcuni progetti pilota relativi ad aree specifiche, come per esempio le riserve idriche naturali del Mozambico o della Namibia.

Ma i problemi da risolvere sono anche di tipo pratico: per esempio molti relatori si sono lamentati della scarsa coscienza che esiste ancora fra i governanti circa la possibilità di utilizzare concretamente i dati satellitari. La filosofia di base è poi sempre la stessa: migliorare la vita quotidiana attraverso la scienza e le nuove tecnologie si può e si deve.

La strada è lunga, ma non esistono scorciatoie.